VIAGGIO A ROSSOSCH PER RITROVARE UN PEZZO D’ITALIA

Rossosch è solo un puntino su una carta geografica. Arrivarci dall’Italia richiede quasi due giorni di viaggio. Ma la sua stazione, che porta la data 1871, accoglie il viaggiatore con antica, disincantata, strapazzata eleganza.
La cittadina, spalmata sulla campagna, sembra uscita da un racconto di Cechov. Casette di legno e lamiera, dalle vernici scortecciate e gonfie, cumuli di polvere annidati in ogni fessura. Sopravvive qua e là qualche vecchia costruzione in pietra, approdata miracolosamente da spaventosi naufragi.
Eppure conta circa 90 mila abitanti. Perlopiù contadini, manovali, piccoli commercianti che cercano di combinare uno stipendio, a volte quasi simbolico, con le risorse di un piccolo campo, anche solo di un orto.
Le piramidi industriali dell’era sovietica sono oggi agglomerati semifatiscenti, incrostati di ruggine e polvere.
Ma la vera risorsa sono le donne che, raccolti gli ultimi risparmi e non poco coraggio, con le loro rimesse di badanti e domestiche garantiscono a chi resta un piccolo nido.
La piazza del Municipio, circondata da grigi caseggiati coi terrazzini cadenti e ingombri di masserizie, ha al centro un’enorme busto di Lenin che tende il braccio all’orizzonte.
Strade e piazze hanno conservato la vecchia toponomastica: ulitza Revolutija, Lenina, Konsomolskaja.
Un paese culturalmente e geograficamente remoto, ma che conserva con l’Italia un legame forte e indissolubile.
Qui nel '41, quando Mussolini decise di affiancare i tedeschi nell’Operazione Barbarossa, arrivarono i primi italiani e prese sede il Comando degli alpini. Il placido Don, lungo cui combatterono, scorre a circa 50 chilometri.
Quando i russi sferrarono l'attacco decisivo incombeva sui nostri soldati un inverno particolarmente cupo e gelido. La ritirata attraverso la steppa segnò il tracciato di un immenso cimitero.
A Nikolajewka ,la sera del 26 gennaio del ’43, morirono circa seimila soldati.
Di 229.000 italiani inviati in Russia, 90 mila non tornarono. Come escrescenze nella steppa innevata, rimasero per tutto l’inverno i mucchi dei loro cadaveri. Solo in primavera fu possibile seppellirli in fosse comuni.
Eppure di loro i vecchi di Rossoch conservano un ricordo decente. La popolazione non li temeva, non umiliavano la gente, non toccavano gli ebrei.
A loro memoria resta oggi una scuola materna, l’“Asilo del sorriso”, costruita dall’A.N.A. nel 1993.
Un asilo che resta come una promessa di pace, un segno della vita che continua, del bene che può scaturire anche dagli eventi più tragici.
Sotto un cielo assediato da nuvole grigie, il grande asilo col tetto rosso spicca come un’isola colorata e felice.
Silvia Golfera


Davide Valentini
Proposte di percorsi di studio

Indicazioni bibliografiche

Fotografie di Rossoch