LETTERE DA AUSCHWITZ – Un epistolario singolare
Auschwitz – Birkenau 16/03/2005
Cari ragazzi,
davanti a me la realtà delle cose: resti e rovine in un’immensa distesa di neve. Il nostro vagare, isolati e a gruppi, come di chi cerca, senza avere la piena consapevolezza del “che cosa” e del “come”.
Se con noi avevamo qualcosa, ora non resta più niente: la nostra solita vita, il pensiero della scuola, gli affetti, le nostre stesse conoscenze.
Tutto è scomparso davanti a questa realtà che s’impone: tutto è realmente accaduto.
E’ accaduta quella tremenda possibilità iscritta nella storia.
Se è accaduto, vuol dire che può accadere.
Ma cosa ha conservato per noi il passato?
Cammino sulla lunga strada che conduce ai forni crematori.
Alla mia destra solo i camini in mattone di quelle che un tempo erano le baracche di legno. Sulla sinistra le baracche in muratura, rimaste intatte, con porte spalancate e finestre. Fango e neve bianca tutto intorno. Non c’è quasi nessuno, solo qualcuno che cammina nel silenzio.
Entro in quelle baracche. M’impongo di non fuggire, di percorrerle in tutta la loro estensione e di guardare con attenzione ogni particolare.
Toccare con le proprie mani quelle luride tavole, calpestare con i propri piedi quel pavimento di terra, vedere con i propri occhi i lavatoi rovinati dal tempo e sentire quell’odore! Una realtà presente.
Riprendo la strada e, dopo non poco, arrivo alla fine del viale. Sul sentiero, che a fatica s’intravede, raggiungo uno dei forni crematori semidistrutto. Una rovina quasi sepolta nella neve su cui ardono tanti lumini dalla fiamma rossa accanto a fiori recisi e abbandonati .
E poi ancora campi coperti di neve prima di arrivare al filo spinato e alle torrette di controllo sul limitare del bosco. Il silenzio avvolge tutto come la neve .
Esiste una memoria che ci può salvare da questa tremenda possibilità?
Il sole appare a tratti e c’è freddo. Decido di fare ritorno camminando sulle traversine di legno di quel binario morto che attraversa tutto il campo, in fondo al quale si arrestava il treno, per scaricare senza pietà, su quelle banchine, il suo bagaglio umano. Piccola appare ancora alla vista la torre d’ingresso del campo.
No, non riesco a trovare una spiegazione soddisfacente. Questa realtà non si lascia interpretare, c’è sempre qualcosa che sfugge a una piena comprensione.
Ma noi non possiamo rinunciare al tentativo di comprendere!
La storia vive di questa volontà di comprendere.
Dalle rovine di quest’orrore emerge anche l’altra possibilità presente nella storia.
Il pensiero corre alla cella 21 del blocco11, al crocefisso graffiato sul muro, insieme ad altri disegni, da Stefan Jasie’nski, membro della resistenza polacca.
Stefan Jasie’nski era ufficiale dell’armata clandestina polacca. Si fece paracadutare nella Polonia occupata nel 1943 per tenere i contatti con l’organizzazione clandestina dei prigionieri e cercare di organizzare un’insurrezione dentro il campo.
Venne arrestato nel settembre 1944, rinchiuso in questa cella nel novembre/dicembre 1944 e ucciso dai tedeschi agli inizi di gennaio 1945.
L’altra possibilità: lottare per salvare la vita, tante vite e insieme “offrire” la propria vita. Questo Cristo graffiato sul muro è perché sia perfetta l’identificazione con Lui.
Cella18 dello stesso blocco, luogo di un altro martirio, quello di Padre Massimiliano Kolbe, che scelse di morire al posto di un altro, “offrendo” così la propria vita .
La macchina dell’annientamento hitleriana non ha potuto eliminare questa possibilità.
Raggiungo la torretta sul cancello d’ingresso di Birckenau.
Dall’alto posso vedere il campo in tutta la sua estensione. La sera, che sta sopraggiungendo, lo coprirebbe interamente con la sua oscurità, se non fosse per il biancore della neve.
Tutta la storia è qui, in questi 175 ettari di terra circondati dal filo spinato.
Questo passato apre una breccia sul mistero della storia umana.
Con tanto affetto agli studenti che mi sono stati compagni di viaggio.
La vostra professoressa
Antonia Grasselli
Pubblicate nel luglio 2006 (A.Grasselli, S.Maletta, “I Giusti e la memoria del bene. Chi salva una vita, salva il mondo intero”, Cusl), queste lettere di risposta a quella inviata dalla professoressa ai suoi studenti al ritorno del viaggio in Polonia, hanno lo straordinario potere di far entrare il lettore nella realtà cruda del campo, non appena nella sua realtà materiale (i resti e le rovine di quella che è stata una struttura di morte), ma molto di più nel dramma umano che lì si è consumato, riecheggiato e come riflesso nell’animo di chi ha accettato di lasciarsi ferire da quella sorte.
Il viaggio in Polonia (14/18 marzo 2005) e la visita al campo di Auschwitz e Birkenau hanno costituito la fase conclusiva di un progetto molto ampio di cui si pubblica una scheda di presentazione, il primo realizzato dal Liceo Scientifico “E.Fermi” sui Giusti tra le Nazioni, nell’anno scolastico 2004/2005.
La visita ai campi di Auschwitz e Birkenau va perciò vista nella prospettiva aperta dal progetto e come conclusione di un percorso di studio. La modalità in cui è stata organizzata ha conferito a questa esperienza una forte connotazione esistenziale.
Dopo la visita guidata al campo di Auschwitz, gli studenti sono stati lasciati liberi di visitare, individualmente o a gruppi, il campo di Birkenau.
L’impatto con il luogo, le sue caratteristiche fisiche (i resti e le rovine, il silenzio, il relativo isolamento), dopo l’iniziale smarrimento e senso di angoscia, hanno provocato il desiderio di “vedere, capire, toccare” e hanno messo in moto un processo in cui tutte le facoltà della persona sono state coinvolte. La percezione quasi fisica di quanto un tempo avveniva, avvertito come qualcosa di reale e ancora vivo, ha provocato un profondo silenzio percepito come un “vuoto” interiore, ha posto di fronte a se stessi con una immediatezza e una chiarezza mai prima sperimentata (per cui domande, rabbia, paura, fuga, dolore).
La memoria dei Giusti, l’umanità che neppure questo progetto di morte ha potuto distruggere, è stata fondamentale. E’ ritornata alla mente una frase di Focherini al cognato durante una visita al carcere di San Giovanni in Monte: “Se solo avessi visto come li trattano qui, ti pentiresti di non averne salvati di più”.
Questo pensiero sostiene lo sguardo, dà il coraggio di non fuggire dalla sensazione della morte, che “rabbrividisce”, sostiene la fatica di “non scappare dalla realtà” e accettare la sofferenza del cuore, perché solo “con la sofferenza del cuore si cresce e si ama”.
Le lettere
Il progetto:“Sessantesimo Anniversario della Liberazione. Gli ebrei dalla persecuzione dei diritti alla persecuzione delle vite: vie di fuga e impegno per la salvezza.”
Reportage da Auschwitz. La fotografia interroga e interpreta la realtà (Pietro Passarelli)