L'ANTISEMITISMO DI IERI E DI OGGI

Stranieri in patria

Ad ogni conflitto in Medio Oriente tra palestinesi e israeliani si verificano in Europa violente manifestazioni antiebraiche, com’è accaduto in queste settimane.
Sembrano, a prima vista, solo manifestazioni a sostegno di una posizione politica filo palestinese, che assumono in modo strumentale posizioni antisemite. Esse invece esprimono un disagio più profondo. Il disagio di noi “occidentali” che non riusciamo a prendere una chiara posizione nei confronti di un fondamentalismo islamico multiforme, che attacca le radici della nostra cultura, i fondamenti del nostro vivere civile e che si esprime in diversi paesi con lo sterminio di massa dei cristiani.
Ma c’è di più. L’esistenza degli ebrei è caratterizzata da un forte senso di appartenenza. Ma noi, eredi dell’illuminismo, fatichiamo a conciliare il principio di uguaglianza con il diritto a vivere e a manifestare l’appartenenza al proprio credo, popolo, realtà sociale. E’ come se avvertissimo una distonia tra il senso di appartenenza e il principio di uguaglianza, come se esso costituisse un ostacolo all’emancipazione.
Invece, come ha acutamente rilevato il filosofo israeliano Svisai Margalit in un saggio recentemente pubblicato da “Il Mulino”, non c’è contraddizione tra libertà e casa, perché “la casa non è un ostacolo all’emancipazione, è una condizione di emancipazione”. Noi, questo, oggi lo possiamo capire, perché sappiamo che la casa non è innanzitutto un territorio, un luogo fisico, ma la consapevolezza di sé stessi. Avere un senso di casa e di appartenenza intesi in questo modo aiuta a essere liberi.

La storia di discriminazione degli ebrei europei può servire a comprendere. “L’ebreo che non è a casa in nessun luogo e non è visto da nessuna parte come uno del posto – scrive ancora Margalit - rimane uno straniero ovunque”, poiché “come i gobbi hanno l’impressione che il loro stigma [la loro diversità caratterizzante e valutata negativamente] sia evidente e costantemente osservato: lo sguardo alienante degli altri dà agli ebrei la sensazione di disaggio di non essere a casa”.
Visti come degli estranei, così pesantemente condizionata la coscienza di sé, essi si percepiscono come stranieri in patria.
In Italia, dove non c’è mai stata una tradizione antisemita di massa, con la promulgazione dei Provvedimenti per la difesa della razza italiana del 1938, s’introdusse questo sguardo alienante sugli ebrei, che poté diffondersi facendo leva sugli aspetti peggiori della natura umana. Avvertiti da loro come un fulmine a ciel sereno, ma sostanzialmente accettati dalla società civile, resero anche gli ebrei italiani degli stranieri in patria.
Dopo la fine della guerra, una volta rientrati dalle località dove si erano rifugiati (la maggioranza, più dell’80% è riuscita a salvarsi), con difficoltà rientrarono in possesso dei loro beni e a volte anche a essere reintegrati nelle loro professioni.

In queste settimane non si è verificato un attacco così pesante agli ebrei italiani, come è avvenuto in Francia, sia per le motivazioni storiche a cui si è accennato, sia soprattutto per quell’azione di promozione della cultura e delle tradizioni ebraiche da parte delle comunità italiane. La cultura ebraica è avvertita sempre di più come parte integrante della nostra cultura nazionale, un patrimonio comune, tanto da poter dire di essere un po’ tutti degli ebrei.
Il nostro passato ci lascia tuttavia una grande lezione, che ci può aiutare a prendere le distanze da atteggiamenti sociali molto diffusi, perché assunti in modo inconsapevole.

Gli stranieri che a migliaia vivono tra noi ci fanno paura. Non abbiamo, o abbiamo in misura ancora insufficiente, gli strumenti culturali per poterli incontrare veramente e, finché perdurerà il nostro sguardo alienante su di loro, non ci sarà possibilità d’integrazione, anche quando avranno acquisito i nostri stessi diritti di cittadinanza. L’affermazione astratta dei diritti da sola non è sufficiente a formare una mentalità, è necessario promuovere l’incontro tra le diverse tradizioni, ossia valorizzare il senso reciproco di appartenenza.

A conclusione di queste riflessioni, ci piace riproporre il percorso di studio “Stranieri in patria. Gli ebrei bolognesi dalle leggi antiebraiche all’8 settembre del 1943”, edito nel 2006 dalla Pendragon e di cui sono stati pubblicati in questi giorni i video che sono visibili su questo sito.
Antonia Grasselli