ANDARE A SCUOLA A BOLOGNA E IN SUD SUDAN

A migliaia di chilometri di distanza
UNA AMICIZIA CHE CRESCE E FA CRESCERE

Laboratorio didattico in colaborazione con la St.Augustine Secondary School di Isohe (Sud Sudan) e la Luigi Giussani Hight Scholl di Kampala (Uganda)

Hanno nomi a noi familiari, come Rita o Susanna, o più esotici, come Estaio, Nakenia o Nophia. Sono ragazze e ragazzi che, come i loro coetanei italiani, si alzano la mattina per andare a scuola. Ma in Sud Sudan, uno stato africano giovane e fragile, questo gesto che in Italia è consueto, se non a volte fin troppo scontato, diventa motivo quotidiano di orgoglio e affermazione di sé. I giovani della St. Augustine School sono eguali e al tempo stesso diversissimi dai loro omologhi di Bologna. Hanno divise inappuntabili, anche se il loro fabbricato scolastico non rispetta alcuna delle norme edilizie europee. Non possiedono scooter, auto o altri veicoli a motore (anche perché a malapena si distinguono le strade). Non hanno in tasca alcuno dei gadget tecnologici e non indossano accessori di moda senza i quali a noi sembra di non poter affrontare la giornata. Ma nei loro volti riconosciamo le stesse espressioni di chi vede nella scuola ogni giorno qualcosa di nuovo con cui fare i conti: volti di adulti e coetanei, testi, esperienze, che ti aiutino a capire meglio la realtà, ad affrontare la vita e i problemi quotidiani. In questo i ragazzi del Liceo Fermi di Bologna, occupati a studiare, fare sport, volontariato, e mille altre attività di cui vanno giustamente orgogliosi, e i ragazzi la cui scuola è al limitare di luoghi in cui la natura appare ancora ostile all’uomo, dimostrano la bellezza dell’umanità. Il desiderio di capire, di fronteggiare le sfide della vita, nel cuore della pacifica Emilia o del travagliato Sud Sudan traspaiono allo stesso modo. Ed è giusto e bello vedere come ai ragazzi del Fermi non basti quello che possono mostrare a tutti: una città dalle radici antiche, monumenti e bellezze di cui essere fieri. Ma che tutto questo possa essere condiviso con amici (perché si capisce che così li considerano) a migliaia di chilometri di distanza, dove i problemi contingenti spesso hanno la meglio sulle aspirazioni di chi vorrebbe solo una vita pacifica e un luogo dove crescere in salute e imparare, ecco, questo riesce ancora a stupire. Le immagini del documentario non mostrano, ma lasciano intuire molto del Sud Sudan: l’opera di AVSI che lavora per superare l’assistenzialismo e aiutare a creare giovani che abbiano i mezzi materiali e intellettuali per aiutare il paese è una battaglia tutt’altro che semplice. Che un aiuto venga anche da ragazzi italiani, e che questo sia il frutto di una coscienza che cresce, aiutata anche dagli insegnanti, rende il documentario una testimonianza preziosa, al di là della sua semplicità narrativa. Non ci sono immagini ad effetto, tramonti sulla savana o branchi di animali selvaggi come in tanti documentari sull’Africa. Non ci sono neanche scene di crudeltà, violenza e guerra, che ormai non suscitano più neanche orrore nell’indifferente spettatore occidentale. Ma gli sguardi, i sorrisi, gli occhi di questi giovani europei e africani che mostrano le piante che coltivano, o le antiche chiese, o la città coi suoi negozi, o la via polverosa su cui si affacciano baracche dove si comprano poche cose, hanno dalla loro il bello di essere vere, spontanee e sincere. Ci interrogano e ci provocano. Meritano la nostra attenzione. 
Beppe Musicco Sentieri del Cinema